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Attua - Vanio Balzo nuovo presidente

27 aprile 2020

Fondazione Attua - Nuovo presidente

Lo scorso 20 marzo si è tenuto il Consiglio dei Fondatori della Fondazione Attua nella modalità online.
La riunione ha rappresentato un momento molto importante per tracciare il percorso che Attua seguirà nel prossimo anno. I 70 soci che vi hanno preso parte come primo atto hanno eletto all’unanimità il nuovo presidente della Fondazione: Vanio Balzo.
Già Direttore Generale della Fondazione dalla sua costituzione ad oggi, Balzo ha voluto indicare quale sarà, oltre all’azione di radicamento della Fondazione in tutte le regioni italiane, la direttrice principale del suo mandato.
L’impegno del nuovo Presidente si concentrerà nel qualificare Attua come uno degli strumenti più efficaci per promuovere un nuovo tipo di sviluppo, più sostenibile e più attento ai reali bisogni delle persone.

Un totale cambiamento di visione e di comportamenti che l’emergenza sanitaria ed economico-sociale che sta attraversando l’intero pianeta rende ormai urgente e non più prorogabile.

Nuovo paragrafo

21 luglio 2022
Nell'ambito del rinnovamento energetico che sta attraversando tutta Europa, la Bulgaria Engineering EAD, importante azienda attiva nelle energie rinnovabili , sigla con SBN un accordo sinergico per lo sviluppo di siti dedicati alla produzione di energie rinnovabili, dal fotovoltaico, eolico e idroelettrico. Bulgaria Engineering EAD sviluppa su scala internazionale progetti innovativi complessi che interessano infrastrutture , reti di distribuzione e gasdotti. Ad SBN avrà il compito di individuare a livello internazionale investitori qualificati con politiche di #investimentosostenibile che saranno in grado di accelerare l'abbandono degli impianti produttivi fossili con ricadute significative su occupazione e specializzazione del territorio.
Autore: Marco Bocchino 10 luglio 2020
Onorati di essere stati nominati tra i partner di #Planetsmartcity importante multinazionale nel campo delle #smartcity. La società si chiama Planet Holding Ltd, ha cuore Italiano, l’ HQ a Londra ed un centro di ricerca a Torino ed opera nel real estate affordable con un forte contenuto digitale oltre che sociale. Al momento Planet ha 5 progetti immobiliari in essere (principalmente quartieri/distretti di grandi dimensioni) di cui quattro in Brasile ed uno in India dove opera in JV/Partnership con uno dei principali operatori nel mercato indiano, la società quotata Kolte Patil Developers Ltd. Hanno già un nutrita pipeline di progetti con un piano di sviluppo che prevede il lancio di numerosi altri progetti immobiliari in Brasile, India ed eventualmente Colombia, oltre a un primo piccolo investimento in co-living in Texas, USA assieme al gruppo Palladium. L’obbiettivo è di arrivare ad un totale di quasi 50,000 abitazioni dai progetti già lanciati e da lanciare entro la fine del 2023. Nei prossimi 4 anni sono inoltre previsti $30m di investimenti nello sviluppo della strategia digitale. Planet #innovazione #sostenibilità #investimenti #sviluppourbano
24 maggio 2020
Un nuovo progetto , un nuovo servizio , sono tecnicamente, un prototipo , e come tali vanno testati prima di essere lanciati sul mercato . Per questo va creato il proprio Product Market Fit . I sogni trascinano gli imprenditori e se cosi non fosse non ci sarebbe innovazione , ma la forza delle loro idee possono offuscare la razionalità che una iniziativa commerciale richiede per capire da un lato se il mercato è pronto ad accoglierla e dall’altro se c’è bisogno di quel prodotto/servizio veramente. Il Product Market Fit o PMF è il processo che dimostra che quel prodotto è giusto per il mercato. Raggiungere il PMF significa che si sta vendendo una soluzione ad un problema, con una attenta analisi del servizio/prodotto prototipo, analisi del mercato, dei competitor. Servizi che SBN attiva nell’ambito di affiancamento delle Startup per arrivare per limitare al massimo i rischi di prodursi in campagne di marketing costose ma non efficaci. SBN supporta l’imprenditore nella realizzazione dei suoi progetti perché diventino case history da copiare.
11 maggio 2020
Reti d’impresa, argomento più volte affrontato ma mai utilizzato in pieno dalle micro imprese fino ad arrivare alle PMI. Economie di scala, mercati esteri, sviluppo di progetti complessi non sono argomenti sufficienti a far superare la resistività del nostro patrimonio produttivo nazionale, formato per lo più da piccole aziende con meno di 9 dipendenti. L’onda comunicativa non sufficientemente mirata è diventata quasi una pubblicità su cui non si posa l’attenzione dei diretti interessati. Cerchiamo di accendere un riflettore più specifico sull’argomento: Partiamo dal settore finanziario, argomento molto sensibile alle imprese. La mancanza di capitale circolante in grado di generare flussi di cassa sufficienti a far fronte alle normali difficoltà di gestione oltre che agli eventi straordinari, mina fortemente la capacità produttiva delle aziende bloccate da rating, centrali rischi, burocrazia, capacità di trattativa nel sistema finanziario. La rete d’impresa come può esserci di aiuto? Con due semplici risposte: 1. - Le reti godono delle garanzie Medio Credito Centrali e sviluppano accordi con le direzioni provinciali e centrali. 2. - In una rete normalmente si alza il valore del rating di ciascuna impresa che ne fa parte. Introduciamo poi l’argomento della gestione del personale. Nella legge Biagi è stato introdotto lo strumento del distacco temporaneo. Un’impresa per motivazioni di necessità soprattutto di carattere cooperativa nelle attività può distaccare ad un'altra impresa un proprio lavoratore per un tempo comunque determinato. Questa soluzione è poco utilizzata per la complessità della parte burocratica e per la necessità di parere positivo da parte di più enti. Esistendo un contratto di rete che prevede un obiettivo strategico e un programma comune di azioni e risorse condivise, il distacco avviene in modalità cosiddetta automatica. Proprio per i fini della rete è poi semplice anche godere dell’utilizzo in codatorialità del personale, cioè una modalità in cui le imprese partecipanti alla rete sono codatori di lavoro al personale. La rete d'imprese assicura una copertura sul piano delle responsabilità sia per le singole imprese sia per il fondo comune, garantendo secondo la forma con cui viene costruita un regime di protezione sulle responsabilità verso terzi. Vediamo molto sinteticamente cosa prevedono le normative: 1. Protezione del fondo comune. I creditori dei singoli imprenditori non possono far valere i loro diritti sul fondo comune, essendo un fondo a garanzia dell’attuazione del programma di rete. 2. Per le obbligazioni contratte dall’Organo Comune per nome e per conto della rete e quindi delle imprese partecipanti in relazione al programma di rete, i terzi si possono avvalere solo sul fondo comune e non sulle singole imprese. Il fondo comune può essere tra l’altro costituito non solo da beni mobili ma anche da immobili o strumentazione necessaria per le attività previste per l’attuazione del programma. Si ha pertanto la possibilità di avere beni immobili e strumentazione in condivisione. I vantaggi di ciò nascono nella condivisione di investimenti e nelle garanzie che la rete può dare a tali beni in caso di difficoltà della singola impresa. L’estrema libertà lasciata dalle normative nell’elaborazione del programma di rete nel contratto che di fatto regola le attività che le imprese della rete svolgono in comune consente di gestire tutta una serie di scambi, di risorse, scambi di attività e corrispondenti transazioni economiche che consentono rispetto ad altre forme di aggregazione una grande flessibilità. Tutto ciò si traduce in una gestione ottimizzata a livello economico e finanziario che rende appetibile questa forma di aggregazione anche ad imprese che già hanno una stretta collaborazione o che hanno condivisione in ambito societario. Dobbiamo quindi aspettarci ma anche sollecitare l’utilizzo di tali strumenti in grado dare risposte concrete al mondo imprenditoriale e rafforzare il sistema Italia. SBN è promotore di aggregazione e coordinatore di reti di impresa a livello nazionale per dare voce anche alle piccole aziende. .
Autore: Marianna Tognini 27 aprile 2020
2,5 trilioni di dollari: è questo, secondo quinto report The State of Fashion sviluppato da The Business of Fashion insieme a McKinsey e focalizzato sugli effetti che il Covid-19 ha e avrà sull’industria fashion, il valore generato dal sistema moda globale. Che riporta altre evidenze: la capitalizzazione di mercato media dei player di abbigliamento, moda e lusso è scesa quasi del 40% tra l’inizio di gennaio e il 24 marzo 2020, un calo molto più marcato rispetto a quello dell’intera borsa. Le ripercussioni a livello umanitario dureranno ben oltre la fine della pandemia, generando una lunga serie di difficoltà finanziarie per coloro che operano attraverso la catena del valore – dagli addetti alla raccolta delle fibre utilizzate per la fabbricazione dei tessuti ai commessi che vendono il prodotto finito. BoF e McKinsey stimano che i ricavi per l’industria della moda globale si contrarranno dal 27 al 30% nel 2020 rispetto all’anno precedente, anche se si potrebbe riguadagnare una crescita positiva dal 2 al 4% nel 2021. Per il lusso (moda, accessori, orologi, gioielleria e beauty di fascia alta), la contrazione delle entrate globali va dal 35 al 39% nel 2020, con una crescita positiva dall’1 al 4% nel 2021. La chiusura prolungata dei negozi fisici causerà – all’80% delle aziende di moda quotate in borsa in Europa e Nord America – enormi problemi a livello di liquidità, il che si unisce al fatto che, secondo l’analisi dell’MGFI (McKinsey Global Fashion Index), il 56% delle aziende mondiali di moda non stava recuperando il costo del capitale nel 2018: tradotto, la previsione è che moltissime saranno destinate a fallire nei prossimi 12-18 mesi. A fare il resto ci pensa il diffuso pessimismo dei consumatori sull’economia: il 75% degli acquirenti negli Stati Uniti e in Europa è convinto che la propria situazione finanziaria sarà influenzata negativamente per più di due mesi, e per tale motivo tende a dare la priorità ai beni di prima necessità. «Una volta che la polvere si depositerà su questa crisi, la moda dovrà affrontare un mercato recessivo e un panorama in drammatica trasformazione. Ciò richiederà una collaborazione senza precedenti all’interno del settore, anche tra concorrenti. Nessuna azienda supererà la pandemia da sola e i fashion players dovranno condividere dati, strategie e approfondimenti su come navigare in mezzo alla tempesta» ha dichiarato Imran Amed, fondatore e CEO di BoF. «La crisi è un catalizzatore che obbligherà l’industria a un cambiamento: è il momento di prepararsi a un mondo post-coronavirus». L’attuale ‘quarantena dei consumi’ potrebbe accelerare alcuni spostamenti nella mentalità dei consumatori, come una crescente antipatia nei confronti dei modelli di business inquinanti e una maggiore aspettativa verso azioni mirate e sostenibili. Nel frattempo, molti dei cambiamenti a cui assisteremo nel sistema-moda – un salto di qualità digitale, un design senza stagioni, il declino del commercio all’ingrosso – sono principalmente un’accelerazione dell’inevitabile: cose che sarebbero comunque accadute se non fosse arrivata la pandemia a velocizzare il processo. Dall’analisi di BoF e McKinsey emergono cinque temi principali: l’istinto di sopravvivenza (le aziende per sopravvivere alla crisi dovranno effettuare interventi coraggiosi e rapidi per stabilizzare il proprio core business prima di cercare nuovi mercati); la mentalità del risparmio (per riconquistare un pubblico disilluso, parsimonioso e in difficoltà, i brand dovranno trovare il modo di ripensare la propria mission e di riacquistare valore); l’escalation digitale (ormai la priorità più urgente nell’intera catena fashion); il ridimensionamento darwiniano («adattati o muori» sarà il nuovo mantra: per garantire il proprio futuro, le aziende devono ripensarlo proprio adesso); l’innovazione come imperativo (per mitigare l’impatto della pandemia e adattarsi al cambio di economia e di consumatori, le aziende devono introdurre nuovi strumenti e strategie lungo tutta la catena). Tra questi in particolare «la necessità di digitalizzarsi, oggi più che mai, è un obbligo morale per le aziende, che hanno finalmente capito il valore della digitalizzazione»: a parlare è Anastasia Sfregola, Sales Director per il mercato italiano di Kooomo, piattaforma per e-commerce nata più di vent’anni fa da un’intuizione di Giovanni Meda, che la guida insieme al CEO Ciaran Bollard. Anastasia Sfregola, Sales Director per il mercato italiano di Kooomo. Kooomo offre ai clienti una gestione professionale del loro e-commerce, e si rivolge a tutte le realtà che desiderano affermare il proprio business online e vendere più e meglio in tutto il mondo. Sono oltre 500 i brand che si sono affidati alla sua tecnologia – La Sportiva, C.P Company, Miss Bikini, Blauer USA, Camomilla Italia, MotoGP, Umbro, Havaianas – per oltre 1 miliardo di transazioni e una crescita di vendite online anche del 200%. «Per le aziende è arrivato il momento di internazionalizzare con il supporto della tecnologia», continua Sfregola, «scegliendo quindi un software in grado di coordinare al meglio tale operazione. Ora come ora le aziende devono smaltire la merce invenduta: si stanno perdendo i mesi più importanti del prezzo pieno, i clienti stanno cancellando gli ordini, la produzione si sta ridimensionando e i magazzini sono pieni. La moda con tutta probabilità salterà due stagioni, e ciò significa che quando riapriranno i negozi i consumatori ritroveranno gli stessi capi della stagione precedente. L’internazionalizzazione (in termini sia tecnologici che digitali) è dunque fondamentale perché permette di aprire nuovi mercati tramite l’e-commerce, nuovi mercati che percepiranno una collezione – anche se ‘vecchia’ di sei mesi – comunque come appena uscita». Per Sfregola occorre inoltre studiare strategie più efficaci sui marketplace, che se da un lato – almeno, finora – sono serviti a liberarsi delle giacenze, «dall’altro aiutano a internazionalizzare e a far conoscere il marchio in Paesi diversi. Avviare un marketplace in una nuova country – parallelamente al sito istituzionale – è un buon modo per aumentare la brand awareness, a patto che venga gestito con lungimiranza: non solo un luogo dominato dalla scontistica, ma un’opportunità per fare posizionamento». Ovvio che sito istituzionale e marketplace devono essere connessi, spiega Sfregola, «per avere un’esperienza multichannel e collegare la merce presente sul magazzino principale a quella sul marketplace, così da padroneggiare pienamente il turnover». Un’ulteriore valida strategia per le aziende del pronto-moda per fare cassa immediata e produrre solo a fronte di un’effettiva richiesta consiste nel «creare della capsule collection speciali, nate da collaborazioni con artisti e influencer, solo per l’online da gestire con il pre-ordine». Nel segmento del lusso, invece, «dato il peculiare processo d’acquisto, occorre inserire dei tool lato front-end che non siano dei meri chatbot, ma che permettano azioni come la videochiamata con un essere umano che vende il prodotto, lo descrive, chiarisce le policy di reso etc». Il punto vendita online va in un certo senso umanizzato e reso un po’ fisico: «se quest’innovazione fosse già pronta, le commesse che ora sono a casa in cassa integrazione potrebbero già lavorare semplicemente collegandosi tramite videocamera ed fare le visual assistant, una sorta di naturale evoluzione della loro mansione». Sfregola ribadisce quanto sottolineato dal report di di BoF e McKinsey: «i trend del digital erano ben noti, d’altronde si parlava di augmented reality, virtual reality, virtual assistant e 5G ormai da un paio d’anni. La pandemia li ha semplicemente accelerati: certo che se i clienti fossero già stati pronti, avrebbero potuto utilizzare le loro risorse in maniera differente. Forse adesso ne sono consapevoli, forse adesso sanno che l’unica via è digitalizzarsi al 100%, lato B2C e anche B2B». Le fa eco Alessio Berdini, e-commerce manager di Fabi Shoes, azienda di Montegranaro, nel cuore del distretto calzaturiero marchigiano, che produce scarpe, abbigliamento e accessori per uomo e donna, all’insegna del Made in Italy. Berdini aggiunge al discorso un tassello essenziale, il contenuto: «Siamo reduci da un periodo difficile proprio in virtù del nostro prodotto, parecchio legato a contesti business o cerimonia – che sono appunto venuti meno. In questo frangente non ci siamo fatti prendere dall’ansia, abbiamo accettato una situazione che comunque non dipende da noi e ne abbiamo approfittato per improntare una comunicazione empatica, che agisse più sul brand che sul prodotto, raccontandolo sotto vari aspetti. Ciò ha inaspettatamente creato un forte engagement: non ci siamo fatti prendere la mano da grossi sconti ma abbiamo preferito puntare su un piano editoriale che capitalizzasse sull’immagine del marchio». La ripartenza, però, mette l’azienda davanti al solito problema dei magazzini pieni, tanto delle scarpe dell’e-commerce, quanto di quelle dei monomarca e dei negozi più piccoli: «dovremo lavorare su un calendario che preveda una fase di sconti un po’ più estremizzata a livello di percentuali, senza distruggere ciò che abbiamo costruito nei due mesi precedenti. La sfida, insomma, sta nel capire qual è il momento giusto per tornare a parlare di prodotto a seconda del Paese, trovando un equilibrio tra il lavoro e i risultati conseguiti e il bisogno di fare cassa». In un simile panorama, l’e-commerce, per Berdini, «è il centravanti dell’azienda, la leva principale su cui puntare. Visto poi che le fiere stanno saltando e le campagne vendita cambieranno radicalmente, stiamo prevedendo uno sviluppo digital pure per la vendita B2B nei negozi, di fatto con un secondo e-commerce che sostituirà tutto quello che prima avveniva fisicamente». Sforzandosi di vedere il bicchiere mezzo pieno, la pandemia potrebbe essere un’opportunità per ridefinire i modelli di business del fashion e costruire un futuro più sostenibile e interamente digitale. Matthew Drinkwater, a capo della Fashion Innovation Agency (FIA), l’ha confermato a Forbes :«Il COVID-19 sta costringendo i marchi a impegnarsi e sperimentare tecnologie immersive. Siamo stati inondati di richieste su come creare abbigliamento virtuale, nonché passerelle e showroom virtuali. Tornare a una normalità pre-coronavirus non è un’opzione: integrare tutte le forme di digitalizzazione, dalla catena di approvvigionamento e creazione, fino al visual merchandising e alla vendita al dettaglio è il requisito fondamentale per la sopravvivenza di un brand. E abbracciare le tecnologie capaci di renderlo più forte è diventato un imperativo categorico da cui è impossibile fuggire».
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